sabato 30 novembre 2013

Purché non sia solo una questione di ore...

Il Corriere della Sera riprende oggi,  nel suo meritorio spazio dedicato alla scuola, il tema dell'insegnamento della Geografia nelle scuole italiane. Stanti l'importanza della questione e l'equilibrio mostrato, non si può non notare come, ancora una volta, il primo accento sia posto sulla problematica dell'orario.
Ora, intendiamoci, l'insegnamento richiede tempo e frequentazione, che non possono essere sostituiti da ipotetici richiami alla qualità e a misteriose metodologie. Così come la scelta di far cassa risparmiando su alcune discipline piuttosto che su altre rende bene l'idea di una considerazione non proprio elevata della geografia. A guardare con più attenzione, però, il problema va cercato anche, e soprattutto, altrove.
Per chi non fosse addentro alla questione, stiamo parlando di alcuni anni fa, all'epoca del dicastero Gelmini. I docenti hanno trovato in regalo, insieme al ridimensionamento orario, anche le nuove indicazioni nazionali, a sostituire i vecchi programmi. Secondo una ratio, a giudizio di chi scrive del tutto condivisibile, e che ha riguardato tutte le discipline, queste indicazioni hanno un carattere fortemente "aperto", lasciando ampi spazi all'iniziativa e al lavoro del docente. E qui iniziano i guai. Se infatti negli istituti tecnici il problema è solo "quantitativo", consiste cioè in una riduzione di orario, diverso è il caso dei licei. Secondo le rigide tabelle delle classi di concorso nei bienni dei percorsi liceali l'insegnamento della geografia è accorpato a quello della storia in un'unica disciplina, ed è affidato ai docenti di lettere, che per formazione sono portati, salvo qualche raro caso di mosca bianca che agisce di propria iniziativa, ad avere una formazione sbilanciata verso le discipline letterarie e la storia, che finiscono con l'essere privilegiate. E il risultato, per chi ha voglia di fare una ricognizione in tal senso, è ben visibile nei libri di testo: la disciplina che una volta si chiamava geografia è ridotta ad appendice del manuale di storia, e chi ancora propone un testo autonomo lo ha ridotto ad una sorta di pamplhet, peraltro con la pretesa di occuparsi degli argomenti più disparati, dalle carte geografiche alle fonti energetiche, dalla globalizzazione allo sviluppo sostenibile.
E qui arriviamo al vero nocciolo della questione. Cosa insegna la geografia? Senza alcuna nostalgia per i tempi in cui si imparavano a memoria le capitali, i fiumi navigabili e l'elenco delle coltivazioni di ogni area del pianeta, è evidente a chiunque abbia a che fare con l'universo scuola (e non solo) che mancano le basilari coordinate spaziali per poter comprendere il mondo globale. Dall'altro lato la comprensione delle dinamiche di tipo demografico, sociale ed economico a cui assistiamo ogni giorno richiede competenze tali che non sempre è facile fare rientrare nel percorso scolastico, indipendentemente dalle ore di lezione.
Ben venga dunque l'apertura di un dibattito come quello stimolato oggi da Riccardo Canesi, che guardi alla formazione e alle idee. Lasciamo invece fuori la retorica sindacale delle petizioni e degli orari.

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